Il concetto dell'ingiustizia e della sua negazione, della giustizia, il quale è in origine concetto morale, diventa giuridico trasportando il punto di partenza dall'aspetto attivo al passivo, ossia mediante un capovolgimento. Ciò, aggiunto alla dottrina giuridica di Kant, il quale molto falsamente deriva dal suo imperativo categorico l'istituzione dello Stato come un dovere morale, ha prodotto anche nell'età più moderna di tanto in tanto il singolarissimo errore, che lo Stato sia un istituto per l'incremento della moralità, nasca da un tendere verso di essa e sia quindi rivolto contro l'egoismo. Come se l'interno animo, l'eternamente libero volere, al quale soltanto si riferiscono moralità o immoralità, si potesse dal di fuori modificare, e per influsso esterno mutare! Ancor più stolto è il teorema, secondo il quale lo Stato è condizione della libertà nel senso morale e quindi della moralità: mentre invece la libertà risiede di là dal fenomeno, altro che di là dalle umane istituzioni! Lo Stato, come ho detto, è sì poco rivolto contro l'egoismo in genere e in quanto tale, che viceversa per l'appunto dall'egoismo è originato: da quell'egoismo bene inteso, metodicamente procedente, salito dal punto di vista individuale al generale, e assommante in sé l'egoismo di tutti. A servizio di questo è lo Stato: poggiando sulla retta premessa, che non sia da attendersi moralità pura, ossia un giusto agire per principi morali; che se così non fosse, esso diventerebbe superfluo. Non punto, adunque, contro l'egoismo, bensì esclusivamente contro gli effetti dannosi dell'egoismo, che dalla folla degli individui egoisti si producono a svantaggio reciproco di tutti, e ne turbano il benessere, è lo Stato rivolto: il quale a tal benessere mira.
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