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      Che perciò scopo della punizione o più precisamente della legge punitiva, sia il trattenere altrui col timore dal compiere un reato, è una verità così universalmente riconosciuta, anzi di per se stessa luminosa, che in Inghilterra fu perfino già espressa nell'antica formula d'accusa (indictment), di cui oggi ancora si serve nei processi criminali l'avvocato della corona; la quale termina: «if this be proved, you, the said N. N., ought to be punished with pains of law, to deter others from the like crimes, in ali time coming» 50. Servire al futuro è ciò che distingue la pena dalla vendetta; e la pena ha questa finalità sol quando viene applicata come esecuzione di una legge; la quale esecuzione, solo siffattamente annunziandosi come inevitabile in
      ogni altro caso futuro, dà alla legge la forza d'intimidazione in cui sta appunto la sua finalità. Qui un kantiano immancabilmente osserverebbe, che secondo questo modo di vedere il delinquente punito viene adoprato «sol come mezzo». Ma questo principio, così infaticabilmente ripetuto da tutti i kantiani, «che si debba sempre trattar l'uomo sol come fine, mai come mezzo», è bensì un principio che suona con aria d'importanza, e quindi appropriatissimo per tutti coloro, i quali amano d'avere una formula, che tolga loro la fatica di continuare a pensare; tuttavia guardato alla luce è una sentenza oltremodo vaga, indeterminata, la quale per ciascun caso, in cui debba essere applicata, richiede dapprima particolare spiegazione, determinazione e modificazione, mentre, presa così in maniera generica, è insufficiente, poco concludente, e per di più problematica.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





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