Come ricompensa invece promette rinascita in forme migliori e più nobili, quale bramano, quale sapiente, quale santo. La più alta ricompensa, che attende gli animi più nobili e la più compiuta rassegnazione, ricompensa concessa anche alla donna, che in sette vite successive volontariamente sia morta sul rogo del marito, come all'uomo la cui bocca pura non abbia mai pronunziato una sola menzogna, può il mito esprimerla solo negativamente nel linguaggio terreno, mediante la promessa tanto spesso ripetuta, di non più rinascere: «non adsumes iterum existentiam apparentem». Oppure come l'esprimono i Buddhisti, che non ammettono né i Veda né le caste: «Tu raggiungerai il Nirvana, ossia uno stato, in cui non sono quattro cose: nascita, età, malattia e morte».
Non mai un mito s'è accostato più strettamente, non mai s'accosterà alla verità filosofica, cui sì pochi uomini possono salire, come fa questa remotissima dottrina del più nobile e più antico popolo; nel quale essa, per quanto in molte parti tralignata, regna nondimeno tuttora come fede generale ed ha sulla vita un effettivo influsso, oggi come quattro millenni or sono. Questo non plus ultra di rappresentazione mitica hanno quindi di già Pitagora e Platone accolto con ammirazione, e tratto dall'India, o dall'Egitto, e onorato, e applicato, e, non sappiamo fino a qual punto, essi stessi creduto. Noi invece spediamo oramai ai bramani, clergymen inglesi e fratelli moravi esercenti la tessitura, per ammonirli compassionevolmente d'una verità superiore e spiegar loro, che son creati dal nulla, e che di ciò devono con gratitudine rallegrarsi.
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