Ma se frattanto piacesse mantenere un posto onorifico a un'antica espressione, la quale per abitudine non si vorrebbe del tutto sopprimere, come a un funzionario emerito, allora si potrebbe chiamar bene assoluto, summum bonum in modo tropico e figurato, la completa soppressione e negazione della volontà, la vera assenza di volontà, che unica per sempre placa e sopprime la sete del volere, unica da quella pace la quale non può più esser turbata, unica ci redime dal mondo. Di lei tratteremo alla fine di tutta la nostra opera, considerandola come unico radicale rimedio della malattia, di fronte alla quale tutti gli altri beni non sono che palliativi anodini. In tal senso il greco ?????, com'anche il latino finis bonorum, corrisponde ancor meglio alla verità. E questo basti intorno alle parole buono e cattivo; veniamo ora al sodo.
Se un uomo, non appena ne abbia l'occasione e nessun potere esterno lo trattenga, è sempre inclinato a commettere ingiustizia, lo chiamiamo cattivo. Secondo la nostra spiegazione dell'ingiustizia, ciò significa che costui non solo afferma la volontà di vivere, quale essa si manifesta nel suo corpo, ma in codesta affermazione va tanto oltre, da negare la volontà manifestantesi in altri individui. Egli pretende con ciò le forze loro pel servigio della volontà propria, e l'esistenza loro cerca di sopprimere, quando della volontà di lui essi contrariano le aspirazioni. Di ciò è sorgente prima un alto grado di egoismo, la cui essenza fu esposta più sopra. Due cose son qui subito palesi: primo, che in un tale uomo si esprime una volontà di vivere estremamente impetuosa, oltrepassante di gran lunga l'affermazione del suo proprio corpo; secondo, che la conoscenza di lui, tutta presa dal principio di ragione e prigioniera nel principio individuationis, rimane attaccata alla distinzione completa messa da quello tra la sua persona e tutte le altre.
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