E l'uomo malvagio è per l'appunto codesta volontà tutta intera, sì ch'ei viene a essere non solo il tormentatore, ma anche il tormentato, dal cui dolore egli è separato e si crede libero sol mediante un sogno illusorio, che ha per forma il tempo e lo spazio. Ma il sogno svanisce; ed egli, per forza della verità, deve il piacere pagare col dolore; tutta la sofferenza ch'egli conosce solo in quanto possibile, lui colpisce effettivamente, in quanto egli è volontà di vivere; imperocché sol per la conoscenza individuale, solo per virtù del principii individuationis, e non già in sé, sono distinte possibilità e realtà, lontananza e vicinanza di tempo e di spazio. È questa la verità, che miticamente, ossia conformata al principio di ragione e tradotta con ciò nella forma del fenomeno, viene espressa dalla dottrina della migrazione delle anime: ma la sua espressione più pura da ogni mescolanza l'ha per l'appunto in quell'angoscia oscuramente sentita, eppure inconsolabile, che si chiama rimorso. Ma questo procede inoltre da una seconda, immediata conoscenza, con quella prima esattamente congiunta: ossia dalla conoscenza del vigore, con cui nell'individuo malvagio la volontà di vivere si afferma; vigore che va ben oltre l'individuale fenomeno di lui, fino alla completa negazione della medesima volontà rivelantesi in altri individui. Quindi l'interno orrore del malvagio per la sua propria azione, orrore ch'ei cerca di celare a se stesso, contiene, oltre quel vago sentimento della nullità e della pura apparenza sì del principio di ragione sì della distinzione, ch'esso mette tra lui e gli altri, contiene, dico, in pari tempo anche la cognizione della violenza della propria volontà, dell'impeto con cui questa ha ghermito la vita, e l'ha succhiata.
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