Ma la differenza è assai difficile a scorgere, perché sta nell'intimo dell'animo. Perciò non possiamo quasi mai rettamente giudicare il valore morale delle azioni altrui, e raramente delle nostre. Gli atti e i modi d'agire del singolo, come d'un popolo, possono da dogmi, esempii e abitudine essere di molto modificati. Ma in sé son tutte le azioni (opera operata) nient'altro che vuote immagini, e soltanto l'animo, che a quelle mena, dà loro il valore morale. E questo può in realtà essere il medesimo, anche sotto ben diversa apparenza esteriore. Pur possedendo lo stesso grado di malvagità, che presso un popolo si esprime in grossi tratti, con l'assassinio e il cannibalismo, e nell'altro invece sottilmente e delicatamente en miniature con intrighi di corte, oppressioni e astute manovre d'ogni maniera: l'essenza rimane la stessa. Si potrebbe immaginare che uno stato perfetto, o addirittura fors'anche un dogma di ricompense e pene nell'al di là, a cui si prestasse fede assolutamente piena, impedisse ogni delitto: ora, politicamente sarebbe questo un gran risultato, ma nullo moralmente; anzi si sarebbe solo interdetto alla vita di riflettere la volontà.
La genuina bontà dell'animo, la disinteressata virtù e la pura generosità non provengono adunque da conoscenza astratta, ma bensì tuttavia da una conoscenza: ossia da una conoscenza immediata ed intuitiva, che non si può cancellare né eccitare con arzigogoli di ragione; da una conoscenza, che appunto perché non è astratta, non si lascia comunicare, ma deve in ognuno nascere spontanea, e che perciò trova la sua vera, adeguata espressione non già in parole, bensì esclusivamente in atti, nella condotta, nel corso vitale dell'uomo.
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