Sentiamo allora come ogni appagamento dei nostri desideri strappato al mondo è appena simile all'elemosina, che oggi tiene in vita il mendico perché domani ancor soffra la fame. La rassegnazione somiglia invece alla proprietà ereditaria, che libera per sempre il possessore da tutte le angustie.
Ci sovviene il terzo libro, che la gioia estetica del bello consiste per gran parte nel fatto che noi, entrando nello stato della pura contemplazione, siamo pel momento liberati da ogni volere, ossia da tutti i desideri e gli affanni, quasi fossimo sciolti da noi medesimi; non più individuo dotato d'una conoscenza in servizio del suo perenne volere, non più correlato dell'oggetto singolo, a cui le cose divengono motivi; bensì eterno soggetto del conoscere, liberato dalla volontà, correlato dell'idea. E sappiamo come gl'istanti, in cui sciolti dal feroce impulso della volontà veniamo quasi a tenerci sollevati sulla greve aria terrestre, siano i più beati che noi conosciamo. Da ciò possiam ricavare, come felice debba esser la vita di un uomo, la cui volontà sia non per fugaci istanti domata, come accade nel godimento del bello, ma per sempre, e sia anzi spenta del tutto, eccettuata solamente l'ultima estinguentesi scintilla, che regge il corpo e con questo si estinguerà. Un siffatto uomo, che dopo molte amare lotte contro la propria natura, riporta finalmente piena vittoria, non sopravvive più se non come semplice essenza conoscente, come limpido specchio del mondo. Nulla più perviene ad angustiarlo, nulla a scuoterlo: perché tutte le mille fila del volere, che ci tengono legati al mondo, e di qua e di là in forma di sete, paura, invidia, ira ci trascinano dilaniandoci, con assiduo dolore, egli le ha tagliate.
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