Sereno e sorridente egli si volge ora a guardare le finte immagini del mondo, che un tempo sapevano scuotere e affliggere anche l'animo suo, ma ora gli stanno innanzi indifferenti come i pezzi d'una scacchiera a giuoco finito, o come al mattino i vestiti da maschera smessi e dispersi, le cui parvenze ci avevano stuzzicati ed eccitati nella notte di carnevale. La vita e le sue forme ondeggiano oramai davanti a lui come una fuggitiva visione, o come appare nel dormiveglia un lieve sogno mattutino, attraverso il quale già traluce la realtà, e che più non perviene ad illuderci: e appunto come questo sogno svaniscono, senza un brusco passaggio. Da queste considerazioni possiamo intendere in qual senso si esprima spesso così M.me de Guyon, verso la fine della sua autobiografia: «Tutto m'è indifferente; io non posso più nulla volere: spesso non so, se esisto o non esisto». Mi sia anche concesso, per esprimere come, dopo la morte della volontà, pur la morte del corpo (il quale non è che il fenomeno della volontà, soppressa la quale perde anch'esso ogni significato) non abbia più nulla d'amaro, e sia anzi la benvenuta –, di trasportar qui le parole stesse di quella santa penitente, sebbene non siano formulate con eleganza: «Midi de la gloire; jour où il n'y a plus de nuit; vie qui ne craint plus la mort, dans la mort même: parce que la mort a vaincu la mort, et que celui qui a souffert la première mort, ne goûtera plus la seconde mort» (Vie de M.me de Guyon, vol. Il, p. 13).
Non dobbiamo tuttavia ritenere che, una volta subentrata, attraverso la conoscenza ridotta a quietivo, la negazione della volontà di vivere, questa non tentenni mai più, e si possa su lei posare come su d'una proprietà guadagnata.
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