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      Invece dev'essere con diuturna battaglia sempre di nuovo riconquistata. Perché il corpo è la volontà medesima, ma sol nella forma dell'oggettità, ossia fenomeno nel mondo quale rappresentazione; quindi, finché il corpo vive, sussiste ancora nella propria possibilità tutta intera la volontà di vivere, e tende perennemente a entrar nella realtà, ad ardere di nuovo in tutto il proprio ardore. Quindi troviamo, che nella vita dei santi quella descritta calma e beatitudine è come il fiore, che sorge dalla continua vittoria sulla volontà; il suolo, da cui essa germoglia, è la permanente battaglia con la volontà di vivere: imperocché durevole calma non può aver nessuno sulla terra. Perciò vediamo le narrazioni della vita interna dei santi esser piene di lotte spirituali, tentazioni, e abbandoni della grazia: ossia offuscamenti di quel modo di conoscenza, che facendo inefficaci tutti i motivi doma come universal quietivo tutti i voleri, dà la pace più profonda e apre la porta della libertà. E vediamo quindi anche coloro, i quali son giunti alla negazione della volontà, tenersi con tutti gli sforzi su questo cammino, costringendosi a rinunzie d'ogni maniera, con una espiante dura regola di vita e con la ricerca di ciò che loro spiace: tutto per soffocare la volontà sempre divampante. Da qui vengono infine, poiché essi già conoscono il pregio della redenzione, la loro cura angosciosa per la osservazione del bene raggiunto, i loro scrupoli di coscienza per ogni innocente piacere, e per ogni piccol moto della vanità, che anche in essi è l'ultima a morire, essendo di tutte le inclinazioni umane la più tenace, la più attiva e la più stolta.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368