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      È vero, che molte tragedie conducono da ultimo il loro eroe pieno d'impetuosa volontà a questo punto di completa rassegnazione, in cui di solito si spengono insieme la volontà di vivere ed il suo fenomeno: ma nessuna rappresentazione, ch'io conosca, mi mette innanzi agli occhi ciò ch'è essenziale in quel rivolgimento con tanta limpidità e così puro d'ogni accessorio, come la storia citata del Faust.
      Nella vita reale vediamo quegl'infelici, i quali han da vuotare la più gran misura di dolore, allorché è tolta loro del tutto ogni speranza, e in piena lucidità di spirito vanno incontro a una vergognosa, violenta, spesso tormentosa morte sul patibolo, molto spesso trasmutarsi nel modo suddetto. Non penseremo davvero, che tra il carattere loro e quello della maggior parte degli uomini sia tanta differenza, come dà a credere il loro destino, e invece attribuiremo quest'ultimo, il più delle volte, alle circostanze: ma pur tuttavia sono colpevoli, e malvagi in grado considerevole. E intanto vediamo molti di loro, una volta perduta affatto la speranza, convertiti come dicemmo. Dimostrano allora una reale bontà e purezza d'animo, hanno orrore d'ogni atto minimamente malvagio o privo d'amore; ai loro nemici perdonano, fossero pur questi gli autori d'una pena che innocentemente essi soffrono, non solo a parole e forse per ipocrita paura dei giudici dell'al di là, bensì effettivamente, e con intima gravità; né voglion vendetta alcuna. Anzi, il soffrire e morire finisce col diventar loro gradito, imperocché è subentrata la negazione della volontà di vivere; respingono spesso l'offerta salvezza, volentieri muoiono, tranquilli, beati.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





Faust