Nell'eccesso del dolore si è loro palesato il segreto ultimo della vita, che cioè il dolore e la malvagità, la sofferenza e l'odio, il tormentato e il tormentatore, per quanto diversi appariscano alla conoscenza, che segue il principio di ragione, sono in sé tutt'uno, fenomeno di quell'unica volontà di vivere, che il proprio dissidio con se medesima oggettiva mediante il principium individuationis: essi hanno appreso a conoscerne in piena misura le due facce, la malvagità e il dolore, e scorgendone da ultimo l'identità, entrambe le rigettano da sé, rinnegano la volontà di vivere. In quali miti e dogmi diano poi conto alla loro ragione di questa intuitiva e diretta conoscenza, e del proprio mutamento, è cosa, come osservammo, affatto indifferente.
Testimone di una simile trasformazione morale fu, senza dubbio, Matthias Claudius, quando scrisse quel singolare saggio che nel Wandsbecker Boten (parte I, p. 115) si trova sotto il titolo Storia della conversione di ***, e si chiude così: «Il modo di pensare dell'uomo può passar da un punto della periferia al punto opposto, e tornar poi al punto precedente, se le circostanze ve lo spingano. E tali mutamenti non sono nell'uomo nulla di grande e d'interessante. Ma quella strana, cattolica, trascendentale trasformazione, per cui tutto il circolo viene irrevocabilmente lacerato, e tutte le leggi della psicologia diventan vane e vuote; dove il vestimento è tolto alla pelle, o almeno rovesciato, e all'uomo sembrano cadere squame dagli occhi, quella trasformazione è tal cosa che ciascuno, il quale abbia in qualche modo coscienza del fiato nel suo naso, abbandona padre e madre, se ha occasion di udire e apprendere alcunché di sicuro intorno a quest'argomento».
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