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      Vera salvezza, redenzione dalla vita e dal dolore non può essere immaginata senza completa negazione della volontà. Prima di giungere a quel punto, noi non siamo altro che quella volontà stessa, il cui fenomeno è un'esistenza evanescente, è un sempre nullo, vano aspirare, è l'intero doloroso mondo della rappresentazione, al quale tutti in egual modo irrevocabilmente appartengono. Imperocché noi vedemmo più sopra, che alla volontà di vivere è ognor sicura la vita, e sua unica forma reale è il presente: a cui gli esseri, per quanto nascita e morte imperino sul fenomeno, mai si sottraggono. Questo esprime il mito indiano, dicendo: «essi tornano a nascere». Il gran divario etico dei caratteri ha il significato seguente. Il malvagio è infinitamente lontano dal raggiungere la conoscenza, da cui si genera la negazione della volontà, e quindi è effettivamente in balìa di tutti gli affanni che nella vita appaiono come possibili: essendo anche la casuale sua presente condizione felice null'altro se non un fenomeno mediato dal principio individuationis, ossia un'illusione della Maja, il sogno felice del mendicante. I dolori, ch'egli nella violenza e nella rabbia della sua sete infligge altrui, sono la misura dei dolori da lui personalmente provati, che non pervengono a infrangere la sua volontà e a guidarlo verso la finale negazione. Ogni vero e puro amore, invece, ed anche ogni libero senso di giustizia, provengono già dal superamento del principii individuationis; il qual superamento, quando avvenga con pieno vigore, ha per effetto la completa santità e redenzione.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo II
di Arthur Schopenhauer
pagine 368

   





Maja