La natura mette appunto alla luce la volontà, perché questa nella luce soltanto può trovare la sua redenzione. Quindi tutti i fini della natura vanno aiutati in ogni modo, non appena si è decisa ad agire la volontà di vivere, che della natura è l'intima essenza.
Affatto diversa dal suicidio comune sembra essere una particolar forma di esso, la quale tuttavia non venne fino ad ora abbastanza constatata. È la morte per fame, volontariamente scelta dal grado più alto dell'ascesi. Ma essa fu sempre accompagnata da molta esaltazione religiosa e addirittura da superstizione, che l'han fatta poco chiara. Sembra nondimeno, che la completa negazione della volontà possa raggiungere il punto, in cui vien meno perfino la volontà occorrente a mantener mediante il cibo la vegetazione del corpo. Tal maniera di suicidio proviene da tutt'altro che dalla volontà di vivere: quell'asceta rassegnato appieno cessa di vivere sol perché ha cessato affatto di volere. Altra forma di morte che per fame non sarebbe, in questo caso, immaginabile (a meno che non fosse determinata da una particolare superstizione); perché l'intendimento di abbreviare la sofferenza sarebbe già in effetti un grado d'affermazione della volontà. I dogmi, che empiono a quel penitente la ragione, gli prospettano l'errore, che un essere di natura superiore gli abbia imposto il digiuno, a cui lo spinge invece l'intimo impulso. Non recenti esempi di queste morti si posson trovare nella Breslauer Sammlung von Naturund Medicin Geschichten, settembre 1719, p. 363; presso Bayle, Nouvelles de la république des lettres, febbraio 1685, pp.
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