In questa fede è primo principio, che il nostro sia originalmente ed essenzialmente uno stato di perdizione, dal quale dobbiamo essere redenti. Vien poi l'altro principio, che noi apparteniamo per essenza al male, e siamo ad esso così strettamente legati, che le nostre opere, fatte secondo legge e secondo prescrizione, ossia secondo motivi, né possono soddisfare la giustizia, né salvarci. La redenzione s'acquista soltanto con la fede, ossia mediante un mutato modo di conoscenza; e questa fede non può venire che dalla grazia, cioè dal di fuori: ciò vuol dire che la salvazione è alcunché d'affatto estraneo alla nostra persona, e indica come necessario per quella salvazione appunto il negare, il sopprimere la persona stessa. Le opere, adempimento della legge in quanto tale, non posson mai giustificare, perché sono sempre un agire per effetto di motivi. Lutero vuole (nel libro De libertate christiana) che, una volta penetrata la fede, le buone opere ne emanino spontanee, come sintomi, come frutti di lei: non già pretendendo d'avere in sé diritto a merito, giustificazione, o ricompensa, ma producentisi invece affatto spontaneamente e disinteressatamente. Così anche noi facemmo sorgere, dalla penetrazione sempre più limpida che va oltre il principium individuationis, dapprima la semplice libera giustizia, poi l'amore, fino alla completa soppressione dell'egoismo, e finalmente la rassegnazione, o negazione della volontà.
Questi dogmi della religione cristiana, che sono in sé estranei alla filosofia, li ho qui introdotti per mostrare, che l'etica risultante da tutto il nostro sistema, e accordantesi e connettentesi in tutto con le varie parti di esso, non è punto nuova e inaudita nella sostanza, se pur tale può parere nella sua formulazione.
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