Io l'universale inondazione, per appunto come Moisé la racconta, la credo; e crederò insieme che le acque coprirono il tutto; che "Reversae sunta aquae de terra" e che "Prima die mensis apparverunt cacumina montium"; ma di quei monti, da' quali la colomba poté svellere e portare "Ramum olivae virentibus folijs in ore suo"; cioè da' monti che così bene restarono dopo monti, come prima erano, della Terra. Ella non è, questa opinione, ipotesi fantastica ma verità. Onde farei molto male i fatti miei, se volessi abbandonare questa per ricorrere alle immaginazioni del detto Autore. Non si fatichi dunque ad esortarmi ch'io non me ne vaglia per argomento della mia opinione; perché io sono talmente avverso alle stravaganze capricciose, che m'ha dispiaciuto vederla aderire alle non meno fantastiche che leggiere opinioni di coloro i quali danno fuori, e difendono, che in mezzo alle rocche, o per virtù de gli astri, o per mezzo dell'acque venute dal mare, impregnate di non so che Ostracodermi, si possano generare meri gusci d'animali marini. Quel che racconta Agricola però, ch'io non ho veduto, mi sembra verisimile o facile ad accadere, cioè di vedere ne' sassi rospi e serpi ed anche più cani, come vuol Guglielmo Neobrigense. "E che poi per successo di tempo quivi si siano impietrati, può ben dirsi — ella siegue — ma non soddisfa punto a parer mio; — perché? — perciocché si troverebbero anco adesso simili animali vivi in mezzo alle rocche"; or questo no. Basterà che si veggano vivi in mezzo alle loro tane nel terreno; che dopo in qualche maniera restarono racchiusi, morti e petrificati ancora soddisfecero al tutto, e non debbono avere altra obbligazione che di testificare la loro disgrazia, cioè d'essere stati colti da qualche accidente che poté conglutinare ed ammassare quel bolo e quel limo insieme con essi, tutto in masso di rocca.
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