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      Questo è l'umor mio, ella gentilmente lo compatisca, almeno per l'ampio privilegio che godo come Pittore, non contrastato da alcuno a' giorni nostri, il quale non è differente da quello de' Poeti.
      La supplico in oltre a credere nel resto ch'io sia di genio inimicissimo delle contese, altrettanto però innamorato di ciò che mi sembra pura verità. Certamente averei voluto acquetarmi alla sua opinione, per non inquietarla, se stimato non avessi di tradire, così facendo, l'altra parte che merita maggior cultura; onde risolsi di spiegare il mio parere alla libera, secondo i dettami del mio grosso e goffo spirito, per non offendere una tanto gran Dama qual si è la Verità, che, superando tutte l'altre in grado di bellezza, merita d'essere anteposta ad ogn'altra convenienza. Pensi pure il mio riverito Signore che ciò sia stato il vero motivo di questa qual si sia replica; che se altramente avessi concepito nell'animo (Giuro iddio), mi sarei vergognato d'oppormi a' suoi amorevoli avvertimenti ed averei confessato l'equivoco, se non per altro, per adornarmi d'un bel tratto virtuoso; perciocché (come scrive Quintiliano, avvertito dal sempre soavissimo Plutarco) non è già di vergogna ma di sommo onore, non che a me ma anche ad huomini grandissimi, la confessione de' proprij errori. "Hippocrates — egli scrive(94) — clarus arte Medicinae videtur honestissime fecisse, quod quosdam errores suos, ne posteri errarent, confessus est". Anzi, per interesse comune deve servire d'esempio l'ingenuità d'un Letterato sì celebre.


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La vana speculazione disingannata dal senso
di Agostino Scilla
pagine 122

   





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