Per tali difficoltà nessuno vi fu che si occupasse di questi studi, tranne il Lamont che ripetè le osservazioni collo stesso strumento di Fraunhofer, ma attese le difficoltà della pratica non estese di più il campo delle ricerche. Lamont cercò pure di usare un prisma ordinario posto presso l’oculare del grande refrattore dell’osservatorio di Monaco, di dieci pollici di apertura, ma non ebbe risultati soddisfacenti a cagione, dice esso, della enorme influenza delle oscillazioni atmosferiche. Quindi tali ricerche caddero nell’oblio.
Quegli che fece risorgere la spettroscopia stellare fu l’astronomo G. B. Donati di Firenze circa l’anno 1860. Possedendosi al Museo una grande lente ustoria non acromatica di 41 centimetri di apertura, che avea servito alle ricerche fisiche dell’Accademia nel Cimento e del celebre Davy, la montò parallatticamente a modo di cannocchiale, giudicandola opportuna per raccogliere gran luce: cosa essenziale in queste ricerche. Sotto la direzione del famoso ottico G. B. Amici costrusse uno spettroscopio analogo a quelli che poscia cominciarono ad essere in uso per le ricerche chimiche, e se ne servì per esaminare la luce delle stelle.
La figura qui annessa rappresenta la parte essenziale dello strumento. q m fig.6 è il prolungamento del tubo della gran lente, p e il prisma, f è il cannocchialino analizzatore. Invece della fessura, su cui far cadere i raggi delle stelle, egli usò una lente cilindrica la quale formando una linea focale serviva al modo della fessura senza escludere la luce laterale; però conservò un diaframma collocato nel piano focale dell’obbiettivo per avere una direzione costante dei raggi e un asse ottico determinato.
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Le stelle
Saggio di astronomia siderale
di Angelo Secchi
Editore Dumolard Milano 1877
pagine 362 |
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