Come già dicemmo, tali spettri non sono realmente spettri semplici, essi sono composti di due, uno formato di righe di assorbimento metallico, l’altro di zone continue e sfumate a un dipresso come nello spettro di certe sostanze chimiche. Queste stelle hanno delle zone sfumate che realmente non sono decomponibili in linee: gli spettri di questa specie non sono frequenti in chimica e resta a cercare a che sostanze possono appartenere.
Noi ne ottenemmo uno assai simile a quello di alcune stelle rosse, come la 152 di Schjellerup e alcune altre a tre zone, mediante la scintilla elettrica scaricata nel vapore di Benzina misto ad aria atmosferica. La maniera più semplice per ottenerlo, è di lanciare la scintilla di induzione dentro un bicchiere nel fondo del quale è un poco di Benzina liquida. L’apparato più comodo per l’uso col cannocchiale è quello qui disegnato (fig. 24). Consiste in un globo fornito di 4 tubulature, in due delle quali entrano i reofori di platino; delle altre due una si mette alla bocca del tubo che si avanti allo specchietto dello spettroscopio, l’altra opposta serve per lasciar libero l’accesso all’aria, e per evitare l’esplosioni che accadono spesso. Un poco di benzina messa nel globo, evaporando, dà l’atmosfera necessaria allo spettro. Nelle figg. 25 e 26 sono messi in confronto reciproco gli spettri ottenuti dalla benzina e da queste stelle.
Le zone sono complementari come si vede e dietro misure esatte i limiti furono trovati perfettamente corrispondenti. Con fortissimi mezzi le zone stellari paiono rigate, ma queste linee sono semplici variazioni d’intensità simili alle scannellature dell’azoto nello spettro di 1° ordine e non linee taglienti, come ce ne siamo assicurati esaminando le zone della 152 Schjellerup col prisma obiettivo.
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Le stelle
Saggio di astronomia siderale
di Angelo Secchi
Editore Dumolard Milano 1877
pagine 362 |
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Schjellerup Benzina Benzina Schjellerup
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