Mia madre Francesca Vitale era anch’ella figliuola d’un avvocato.
Verso il 1820 mio padre, per una crudele malattia che lo straziò per lunghi anni e finalmente lo spense, uscì di Napoli con la sua famigliuola e andò a stabilirsi a Caserta, dove viveva della sua professione parco ed onesto. Una mattina mi menò in chiesa dove era tanta gente, molti ornati di fasce tricolori, e un prete3 con una gran fascia tricolore su la cotta faceva una gran predica. Erano tutti allegri, e avevano coccarde tricolori sul petto, e non so che gingilli d’argento: uno presentò a mio padre una coccarda, e mio padre disse: “Non ho bisogno di questa, né la voglio, e poi ora sono così ammalato”. E quel signore voltosi a me: “Prendila tu,” disse: ed io la presi, e me la messi, e fui carbonaro a sette anni. Mio padre non volle mai essere carbonaro, perché diceva che fu battezzato nel 1799, ed il battesimo non si ripete.
Egli raccontava spesso i casi suoi nel 1799, e mi ricordo che nelle sere d’inverno egli stava accanto al braciere con due o tre amici che venivano a visitarlo, mia madre presso ad un tavolino cuciva, ed io vicino a lei seduto sopra una seggiolina, ed ei parlava così bene, ed io l’ascoltava guardandolo fiso. Ei diceva così: “Io aveva vent’anni, ed era della guardia nazionale, e una mattina feci la sentinella innanzi alla camera dove erano a consiglio i capi della repubblica, e quando uscirono presentai le armi a Domenico Cirillo che uscì primo, e mi guardò, e mi sorrise, ed io ancora ricordo quel sorriso: presentai le armi a Mario Pagano e Vincenzo Russo che andavano ragionando, presentai le armi a tutti gli altri.
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