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      Si avvicinava il cardinale Ruffo. Chi può descrivere i furori della plebe, e il terrore che faceva il grido di ‘viva il re’? Abitavamo a san Giovanni Maggiore, e io vidi a un tratto i lazzari assalire il palazzo del duca della Torre, trarne fuori seminudi e legati i due fratelli Filomarino, e saccheggiare il palazzo che non vi rimasero neppure i ferri dei balconi. Il mio amico Gaspare Giglio calabrese che si trovava col cardinale mandò a dirmi andassi da lui per salvarmi: io uscii; le vie erano sparse di cadaveri nudi perché spogliati di tutto, e bianchi bianchi, ché erano di gentiluomini. Nella via di Porto ecco un’onda di popolo che mi è sopra; sento strapparmi il codino che m’avevo messo di stoppa, e gridare: ‘giacobino!’, mi afferrano, mi spogliano, non mi lasciano neppure la camicia, mi legano, mi pungono con le baionette, e mi strascinano verso la marina per fucilarmi. Giunti a la marina mi sento uno schiaffo da uno che mi dice sottovoce: ‘Non ti spagnare, ca mi manda Don Gaspari’: e poi rivolto alla moltitudine: ‘A lu ponte, a lu ponte, l’avimo a fucilare avanti a lu cardinali’. E così mi trasse da quella turba, mi chiuse in mezzo ai suoi e mi condusse scalzo e sanguinoso al ponte della Maddalena per chiudermi nei Granili che allora erano diventati un gran carcere. Stava di sentinella innanzi la porta del carcere un calabrese con una gran rete turchina in capo ed una rosa in mano. Come ei mi vide: ‘Poveru giuvani,’ mi disse, ‘tu si mezzu mortu: addura sta rosa, rifriscati!


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Ricordanze della mia vita
Volume Primo
di Luigi Settembrini
pagine 271

   





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