’. E avvicinandomela al naso sentii entrarmi uno spillone nel cervello. Fui spinto in un gran camerone dove erano stivati più di trecento prigionieri, e molti qua e là moribondi, io mi gettai per terra, un prigioniero mi porse un poco d’acqua per lavarmi le ferite, e mi diede uno straccio per fasciarmele. Dopo due giorni venne a vedermi mio padre con mia sorella Carmela, la quale come mi vide a traverso i ferri, corse, mi strinse la mano forte forte, e svenne. Mio padre corse per un poco d’acqua, domandò aiuto al maggiore Baccher, che ora è generale, e allora si trovava lì, e passeggiava innanzi al carcere, e venne e disse: ‘Oh è nulla, la farò rinvenire io’. E diede due colpi di frustino in faccia a la povera Carmela. Mio padre se la prese tra le braccia, e senza dir parola la trascinò via, e non venne più. Indi a poco tempo fummo imbarcati un gran numero, e portati all’isola di Santo Stefano, e chiusi in quel bagno. Lì c’era il Carrascosa e il Pignatelli ora generali, e c’era ancora il marchesino di Genzano, Filippetto Marino, un bel giovane di diciotto anni, che era mezzo nudo, ma sempre allegro, e ballava, e cantava sempre. Venne un marinaio che da Napoli portò roba a molti prigionieri, e a lui disse, che la marchesa madre gli aveva consegnato un baule di roba per lui, ma il marchese gliela fece lasciare dandogli molte bastonate, e che egli era fuggito, e non poteva dargli altro che un cartoccio di polvere di Cipro, e un paio di scarpe nuove, che la marchesa gli aveva consegnato dopo di aver chiuso il baule, ed egli se li aveva messi in saccoccia.
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