Il giovanotto da prima si accigliò, poi sorrise, s’incipriò i capelli, si calzò le scarpe nuove, e si mise a ballare un minuetto. Pochi giorni dopo il povero Filippetto fu chiamato in Napoli, e giustiziato: e il crudele padre invitò a pranzo i giudici che lo avevano condannato. Quattordici mesi stetti a Santo Stefano, poi fui richiamato in Napoli anch’io; ma i tempi erano mutati, fui assolto e tornai a casa.
A questo racconto io non movevo palpebra, ma a quello spillone nella rosa diedi un guizzo, e mia madre fermò la mano che cuciva e impallidì.
Qualche tempo dopo la gran festa in chiesa vidi gran numero di soldati passare per la città, e alcuni uffiziali alloggiare in casa nostra, i quali mi dicevano: “Vuoi venire con noi? si va a combattere i tedeschi”. E io correvo e la mamma, e le dicevo mi mandasse alla guerra, ed ella rispondeva: “Prega Dio che difenda la nostra patria, e che non ci vengano i tedeschi”.
Ma i tedeschi vennero, ed io ne vedevo tanti vestiti di bianco e col lauro al cappello, ed altri uffiziali venire ad alloggiare in casa nostra, e non parlavo affatto, e dentro sentivo una gran passione vedendo mio padre pensoso, mesta mia madre, e la casa squallida, perché tutta l’argenteria da tavola e qualche altra cosa di valore che v’era l’avevano nascosta. Ci volle il bello e il buono a persuadermi di lasciare la coccarda tricolore, e di mangiare con una forchetta di ferro. Non udivo altro che malinconie e tristi novelle: “Hanno carcerato il tale, hanno tolto l’impiego a quel poveruomo che con tanti figliuoli come farà?” Don Giuseppe Golino prete mio maestro ebbe tolta la scuola e la messa, e morì mendico.
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