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      Io quando divenni giovane conobbi la signora che ancora era bella e galante, e che senza volerlo e senza meritarlo, fu pigliata per la Madonna e fece nascere tanto rumore, ma non ho potuto saper mai come diamine sparì il capitano de’ lancieri, che era con lei nella cappelluccia e non fu veduto né mentovato dai fanciulli.
      Quel mio prefetto adunque andò anch’egli a San Nicola, e intinto un fazzoletto bianco nell’olio di una lampada che ardeva fra tante innanzi la Madonna, me lo portò e disse: “Metti questo sugli occhi, recita tre avemarie, abbi fede, fede viva, ed aspetta il miracolo”. Feci come ei volle, ed aspettai un pezzo: ma debbo dire che ebbi poca fede; e forse per manco di fede mi trovo manco buoni gli occhi.
      Tra i compagni io mi strinsi in amicizia con Luigi de Silva, giovanotto di molto ingegno, e più innanzi di me negli studi. Ragionavamo sempre delle antiche istorie e degli antichi uomini di Roma, e ci pareva di essere nati troppo tardi in un’età di poltroni e di servi. I compagni, noiati delle nostre sentenze, ci davano la baia e ci chiamavano i dottorelli. Io non la poteva inghiottire, e mi sentivo pungere non tanto per me quanto pel mio De Silva, che era piccolino di corpo, ma grande d’ingegno; sicché un giorno perdetti pazienza, menai di buone pugna e ne toccai: ebbi un castigo, ma nessuno più mi disse in viso quella parola. Il De Silva mi leggeva spesso certe sue traduzioni delle più belle odi di Orazio, e luoghi di Livio, e versi latini che egli scriveva facilmente.


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Ricordanze della mia vita
Volume Primo
di Luigi Settembrini
pagine 271

   





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