Io lo ascoltavo con ammirazione, e vidi che talvolta da un compagno si apprende meglio che da un maestro! Leggevo libri latini, e dove non intendevo, ne domandavo lui: e così in breve tempo intesi mediocremente il latino, e tirai giù il primo epigramma, che mandai a mio padre. Ero lieto di que’ miei studi, e fui più lieto ancora della compagnia del mio diletto fratello Peppino, che entrò anch’egli nel collegio: ma indi a pochi mesi ci sentimmo colpiti da un fulmine, perdemmo nostra madre. Oh, quello fu dolore che non ho dimenticato mai, ed anche oggi dopo tanti anni e tante ferite che porto su l’anima io non posso ripensare a quell’angelo della madre mia senza lagrime. Ella si morì sopra parto, di trentasette anni5, e non ci rivide prima di morire. La pietà più grande fu quando andammo per un giorno a riveder nostro padre, che era ammalato, e aveva intorno a sé gli altri figliuoli, Giovanni, Vincenzo, Teresa, Alessandro, tutti bambini e vestiti a bruno che ci vennero incontro con lagrime e strida; e nostro padre pallido e sfigurato dal dolore ci disse: “Ella prima di partire vi ha benedetti, ed io vi benedico tutti, o figli miei, in nome di vostra madre”. La nostra casa era una spelonca: per ogni stanza cercavo la mamma, e la mamma non c’era più. Quella giornata e quel dolore furono amari assai. Chiunque mi ha parlato di lei mi ha detto sempre che ella era una donna rara di bontà e di senno: e le sorelle di mio padre sue cognate mi dicevano: “Tua madre aveva la testa di Napoleone, sapeva fare tutto e vinceva sempre”.
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