Seguitavo intanto a sermonare scrivendo a mio padre, il quale vedendomi incaponito in quella fantasia di farmi frate, per non perdermi e per altre sue buone ragioni, ritirò me e mio fratello Peppino dal collegio sul finire dell’anno 1826. In casa trovammo una madrigna, che fu buona con noi e con nostro padre.
III - Ritorno a casaTornato a casa andavo ogni mattina a chiesa, e poi a scuola; e sebbene vi andassi con gli occhi bassi, pure una volta non so come li alzai in viso ad una bella fanciulla nostra vicina che mi guardava fiso; e un’occhiata oggi, una dimani, cominciai a volerle bene, non scrissi più oremus, e un dì non so come mi venne fatto un sonetto d’amore, e dopo di quello molti altri. E così gli occhi di quella fanciulla mi scappuccinarono, e mi tornarono quel matto che io ero per natura. Volete sapere del De Silva? Quando uscì di collegio si vestì da prete, e studiò teologia, ma per voler ragionar troppo fu tenuto ateo e diede scandalo: ei gettò il collarino, fece l’avvocato, e fece molte pazzie, e l’ultima fu di farsi frate davvero nel monastero di Santa Teresa. Poi si sfratò, ed ora veste da prete, ed è professore. Animo focoso ed irrequieto, buono, ingegnoso, generoso, è stato sempre ed è mio carissimo amico.
Oh, non ridete di queste fantasie fanciullesche. Se in vita tua non hai pensato mai di farti frate, o soldato, o di volerti ammazzare, se non hai fatta mai una corbelleria e sei stato sempre savio, io ti compiango, e non ti voglio per amico, perché se non l’hai fatta, la devi fare, e più tardi sarà più grossa, e la farai a me.
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Peppino De Silva Santa Teresa
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