Non vorresti tu morire così? Ah, figliuolo, questa che tu vedi fra noi non è religione, ma superstizione, ma arte di tirannide per ispegnere proprio l’anima. L’uomo generoso ama la patria e si adopera per lei in fatiche onorate, non in ozio di convento”. A queste spronate io m’impennavo come un puledro, e avevo sempre innanzi a la mente Marco Bozzari nel campo dei Turchi, e sentivo ripetermi all’orecchio il grido di Costantino Canaris nel canale di Scio: “Vittoria a la Croce,” e pigliavo la carta geografica, e stavo le ore intere a guardare la Grecia, e mi girava pel capo tutta la storia antica e quello che udivo della moderna.
Avevamo un nostro vicino, a nome don Angelantonio de Spagnolis, un dabbene uomo che parlava sempre latino, ed aveva una serqua di figliuoli tra maschi e femmine; e noi altri si andava da loro, ed essi da noi. Il primo di questi figliuoli, a nome Salvatore, aveva qualche ingegno ed era mio compagno di scuola, e andavamo insieme da un maestro che era dotto, ma pregiava più un fiaschetto di vino che il poema di Virgilio, e ci faceva lezione mezzo addormentato. Dopo la lezione tutti e due ce n’andavamo nel bosco reale, luogo di delizie celebrato in tutta l’Europa, e quivi dove erano più ombrosi i viali e maggiore silenzio, noi passeggiavamo leggendo l’Atala dello Chateaubriand, e quando l’uno era stanco, leggeva l’altro. Oh che libro fu quello per me! io vedevo con la fantasia le vergini foreste dell’America, e quelle donne indiane, e quell’Atala, e quei pappagalli sulle rive del Meschacabi.
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