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      Pochissimi, e da contarli su le dita, rimangono sempre gli stessi, semplici, onesti, e male in arnese. Per ingegno poi tutti i napoletani ne hanno, e taluni maraviglioso, ma non hanno costanza, né ordine, né disciplina, e quasi tutti sono ignoranti e abborrenti dallo studio, non per colpa loro, ma per quell’educazione fratesca che storpia l’anima ed il corpo. Alcuni sono salvati dal bisogno, dal pudore, da un istinto buono, da la fortuna di trovare un amico o una persona sennata che li consigli, e così si danno a lo studio, ma debbono rifarsi da capo, proprio da la grammatica. Quanti ne ho veduto piangere conoscendosi ignoranti, e scagliar maledizioni al seminario o al collegio dove erano stati molti anni e non avevano imparato nulla!
      Io mi strinsi naturalmente con pochi che più mi piacevano per coltura e per modi gentili, e facemmo una brigata di giovanotti di buon umore, buon appetito, pochi quattrini, e molti versi. Di rado o in canzone si parlava di Giustiniano: per lo più si recitava poesie, io declamavo i Sepolcri del Foscolo, e ripetevo le intere Lettere di Iacopo Ortis, qualche altro ragionava sempre dell’Alfieri, e ne recitava qualche scena, qualcuno usciva a parlare d’una bella fanciulla: tutti a dire quel che viene viene, anche spropositi. Spesso s’entrava in politica e diventavamo seri, ma la politica sottovoce, e passeggiando in campagna, e guardandoci bene attorno, perché correvano brutti tempi, e la polizia stava più cagnesca del solito sopra gli studenti per la rivoluzione stata allora nella provincia di Salerno.


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Ricordanze della mia vita
Volume Primo
di Luigi Settembrini
pagine 271

   





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