Egli stesso era presente a queste torture, e le inventava, le ordinava, ed aveva fatto del palazzo dell’intendenza un’officina di carnefici che risonava dei lamenti e delle strida dei tormentati. I suoi cagnotti, chiamati i gialli dall’abito che vestivano, gli stavano sempre intorno, e li accerchiavano la carrozza quand’egli usciva. Essendo andato in Rogliano in casa i signori Morelli, ordinò tanti tormenti che uno della famiglia per l’orrore uscì pazzo, ed indi a qualche tempo rivedendo a caso alcuni gialli, e credendo volessero arrestarlo si precipitò da una finestra e morì. In tutta Calabria mise lo spavento del suo nome, e diceva che tutti vi eran carbonari, e ci voleva il boia per rimettere l’ordine. Si levò un grido generale contro questa belva: e molte ragguardevoli persone corsero in Napoli ad implorare l’aiuto del ministro Medici, nemico del Canosa e dei canosini, e gridavano che il de Matteis inventava congiure che non v’erano, e straziava un popolo che ormai era stanco e stava per sollevarsi davvero. Il Medici non era una coppa d’oro, ma per dare un colpo a tutta la parte del Canosa, pensò di perdere costui; sì che raccolte bastanti pruove, lo fece richiamare a dar conto di sé, e messolo in carcere lo sottopose ad un giudizio che si fece negli anni 1829 e 1830. Non vi so dire quanti di noi giovani e con che animo andavamo nella sala della suprema corte di giustizia, che folla, che forestieri, che dame! e come tutti guardavano al de Matteis che stava sopra un alto scanno con altri quattro suoi complici.
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