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      Col mio buono zio Filippo io ragionavo di me, e gli dicevo: “Ho studiato leggi per soli due anni, non ho fatto alcun esame, non ho licenza, non ho laurea, come farò l’avvocato?” Ed egli: “Chi vuol filare, fila co lo spruoccolo, dicono le femmine. Se ne hai voglia puoi studiare da te, e lo studio ti sarà più facile per la pratica, e comincerai a guadagnare qualcosa. E poi quanti avvocati ci sono senza laurea e senza licenza, e sono bravi e ricchi? Studia da te, fa la pratica, e a suo tempo farai gli esami, e piglierai la laurea”. Io dunque andai in Santa Maria di Capua.
      Gli amici di mio padre m’accolsero con benevolenza, ed uno di essi, che era un avvocato di molte faccende88, mi ammesse nel suo studio; e lì cominciai a copiare citazioni, difese, sentenze, e tutte quelle maledizioni che formano un processo. A diciotto anni, e col capo in cembali, va e mettiti in uno strano mondo di avvocati, di liti, di clienti, di giudici, di cause e di scarabocchi; ci stavo come l’asino in mezzo ai suoni. Di leggi sapevo pochissimo, e non avevo voglia di saperne; ma quello che mi spaventava era il vedere certi avvocatoni di grido arrovellarsi per inezie e farle comparire affari importantissimi, chiacchierar sempre, aver sempre pronta la bugia e l’articolo del codice, non credere a nulla, ridere di quelle cose che a me parevano sacre, canzonar tutti, e così avere bei rotoletti di danari. “Ohimè”, dicevo, “questo non lo saprò mai fare, e non è mestiere per me.” Stavo con una malinconia, anzi con una stizza grande, mi sentivo umiliato a copiare quelle cartacce, e mi svelenivo coi versi, e scrissi un arrabbiato dialogo che intitolai tragedia.


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Ricordanze della mia vita
Volume Primo
di Luigi Settembrini
pagine 271

   





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