Pareva a tutti cortese perché dava udienza a tutti, domandava, rispondeva, provvedeva subito, e ricordava i nomi di quanti aveva una volta veduti. Contentò anche la Sicilia, sempre desiderosa di re e d’indipendenza, e vi mandò luogotenente suo fratello Leopoldo conte di Siracusa. Esercito napolitano non si può dire che v’era: dodicimila Svizzeri, assoldati dopo che partirono gli Austriaci, tenevano il regno: onde egli attese principalmente a formare un esercito, richiamò gli antichi uffiziali già dimessi per politiche opinioni, creò nuovi reggimenti, riordinò ed accrebbe gli antichi: ai soldati favori, carezze e le sue maggiori cure: stava sempre in mezzo ad essi, se li menava dietro, li esercitava continuamente, li rivestiva di nuove divise, e quando li comandava pigliava l’aria di gran capitano. A quei giorni non ci fu guerra ai peli, nemici perpetui dei Borboni; anzi il re si radeva ogni giorno per farsi crescere subito i baffi che non aveva, e se ne metteva dei finti. Onde fu lecito a tutti e fu segno di libertà poter portare alquanti più peli in faccia.
Io allora sbarbatello, che non era savio, e avevo la testa piena di storie romane e greche, e di brave poesie che sapevo a mente, trovandomi un giorno con altri giovani miei amici e maggiori di età che mi facevano i prudenti, io dissi: “Oh, di che vi rallegrate voi? Nerone cominciò col quam malllem nescire scribere. L’è scopa nuova, ma di quella mala erba: fate che s’usi, e vi riuscirà Borbone come il padre, e come l’avolo”. Mi diedero del matto e davvero io avevo poco senno: ma siccome le cose di questo mondo vanno raramente secondo ragione, così il matto spesso s’appone meglio del savio.
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