Dissero, ed io lo credo, che Ferdinando essendo ancora nuovo re ebbe due lettere: una da Luigi Filippo suo zio, il quale lo consigliava d’allargare la mano, come volevano i tempi, e lasciare scrivere, parlare, ed ognuno pensare a suo modo; ed un’altra da Francesco imperatore d’Austria, che gli diceva di tenersi saldo all’amicizia dell’impero, come avevano fatto i suoi maggiori, non concedere nulla, non abbassare la dignità del principato, e se avesse mestieri di soldati austriaci per sua difesa gliene manderebbe. Allo zio rispose che il suo popolo era d’altra pasta che il francese, e voleva essere trattato in altro modo, non aver bisogno di molto pensare, pensare egli per tutti. All’imperatore, che egli manterrebbe l’antica amicizia, ma che essendo re indipendente non voleva soggezione né aiuto di armi, bastandogli le sue, e che saprebbe fare da sé. Questo rispose, ma in quella forma che si usa lassù, non come l’ho detto io così alla buona. E questo primo tratto dipinge l’uomo, il quale per ismoderata presunzione fa una buona e una cattiva risposta, rifiuta l’aiuto straniero, e nega la libertà del pensiero nel suo popolo: e la stessa prosunzione fu la cagione vera del molto male e del poco bene che egli fece in vita sua. Un’altra lettera gli fu scritta, e lo so da buona fonte, perché gliela scrissi io proprio, e la messi alla posta: gliela scrissi in versi, e gli dicevo: “Tu sei giovane, sii ardito: chiama alle armi tutti gl’Italiani, scaccia i Tedeschi, cedi al papa il tuo regno di Gerusalemme, e tu pigliati e metti sul capo la corona d’Italia.
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