Noi ti adorerem come un Dio, tu avrai un gran potere, e la più bella fama nella storia”. Gli davo spronate da far galoppare una rozza. Non vi messi il mio nome, e però non ebbi una risposta. Mi diceva Pier Silvestro Leopardi che anch’egli scrissegli una lettera, ma in prosa, e lo consigliò a dare una costituzione e farsi capo del movimento italiano. E forse gliene scrisse anche altri, ma io non lo so e parlo soltanto del fatto mio.
Mi ricordo con che ansia allora s’aspettava e si leggeva i giornali, con che caldezza si discuteva, con quali speranze si cospirava, di quali rose era dipinto l’avvenire. E non pure a me giovanotto, ma anche agli uomini di sonnolenta prudenza, e persino ai lumaconi di corte pareva che il mondo avesse mutato faccia. I nuovi ordini politici in Francia, l’agitazione degli spiriti in tutta Italia, la giovanezza del re, le novità che egli faceva, il buon viso che mostrava agli uomini ed alle idee liberali, tutto induceva a credere che un gran mutamento ci doveva essere. Si diceva che Ferdinando era ambizioso, ma voleva la spinta, e parere di essere sforzato. Né solamente i Napolitani ma gli altri Italiani miravano in lui, e ne aspettavano mirabilia, per modo che dalle Marche e dalle Romagne vennero alcuni messi a richiederlo d’aiuto, e che lo griderebbero Re d’Italia se egli volesse col suo esercito combattere gli aborriti austriaci. Insomma tutti nel regno e fuori si agitavano, e credevano che se pure scoppiasse la rivoluzione egli se ne farebbe guidatore.
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