Il ministro di polizia Nicola Intonti, vedendo anch’egli ciò che tutti vedevano, prese a carezzare i liberali che pochi mesi innanzi aveva fatti fucilare; e sia per sciocchezza che egli reputò astuzia, sia per paura, o voglia di tenersi in sella, disse al re, che i cervelli erano sossopra, che stava lì lì per scoppiare una rivoluzione come quella di Parigi, che ei non sapeva come scongiurar la tempesta, e bisognava pur concedere qualcosa. Un po’ di costituzione non era poi il diavolo: maneggiata da un Re forte e da ministri abili saria piuttosto un giuoco che un pericolo, e intanto cheterebbero quei bollori. E poi concedere una costituzione per acquistare la corona d’Italia è un dare uno per avere mille, come fanno i frati. Il Re già piegava: e immaginate le parole che dicevano le lingue napoletane. “Sì, farà, non farà: oh, avremo la guardia nazionale e sarà comandata da Florestano Pepe: il giovanotto ha un’ambizione grande, ed ecco perché ama tanto i soldati.” Ma una bella mattina si seppe che la notte l’Intonti era stato arrestato, messo in carrozza, e mandato fuori del regno; e in suo luogo fatto il Del Carretto che lo aveva arrestato. Si disse venuto un avviso da Austria che l’Intonti era un traditore, e un comando di cacciarlo via; non si cedesse, né si mutasse nulla, ché già scendeva un esercito austriaco nelle Romagne, e entrerebbe anche nel regno se fosse necessario. Infatti gli Austriaci entrarono in Romagna; l’Europa protestò contro l’occupazione, la Francia protestò anch’essa ed occupò Ancona: e così i popoli erano scannati dagli Austriaci, canzonati dai Francesi, e ribenedetti dal nuovo papa Gregorio XVI. Si tornò a la servitù che nel linguaggio furbesco della politica si chiama ordine.
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