Re Ferdinando, mi diceva don Luigi Caterini suo maestro, per ingegno e per costume era il migliore tra i suoi fratelli: eppure egli era ignorante, non leggeva mai libro, scriveva con molti errori di ortografia. Egli, come il padre e come l’avo, non credeva virtù in altri, ne beffava il sapere, rideva dell’ingegno, non pregiava che la furbizia, chiunque sapesse leggere e scrivere era suo nemico ed ei lo chiamava pennaiuolo; si circondò degli uomini più ignoranti e bestiali, non capì che ogni principato non si sostiene con le sole armi, e che gli uomini d’ingegno e di virtù se non sono con te, sono contro di te, e ti fanno una guerra lunga, e ti rovesciano. Educato da bassi servitori di corte, che i Borboni sogliono tenere come i fedeli amici e consiglieri, egli ne apprese due vizi propri del più feccioso popolazzo, la bugia e la beffa. Le parole cortesi, le promesse, le strette di mano erano per lui arti di bugia, perché voltava le spalle, e ghignando ammiccava ai suoi, e diceva che il mondo vuol essere canzonato e un re deve sapere meglio degli altri l’arte di canzonarlo. Non gli veniva innanzi un uomo a cui non metteva un soprannome di beffa: a tutti gettava il motto pungente; deliziavasi di frustare le gambe al cavalier Caracciolo della Castelluccia, e di vederlo saltare, gridare, piangere, ed ei rideva degli scontorcimenti del vecchio. Una volta beffò il duca di Bovino, ignorante ma dignitoso, che adoperava il noi in vece dell’io; e questi osò dirgli: – Noi veniamo in corte per rendere onore a Vostra Maestà: se dobbiamo essere beffati, ci ritiriamo.
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