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      Per serbarmi l’unico bene che avevo, la libertà del pensiero, mi tenevo chiuse le mie scritture, e le leggevo a pochissimi. Quelle scritture poi non erano di latte e mele: figuratevi versi baldanzosi e terribili, lettere amorose, politiche, critiche, sfuriate contro i tiranni, ed altre pazzie, le quali dopo alcuni anni gettai tutte nel fuoco, e benedissi la paura che ebbi del revisore, la quale mi fece un doppio bene, mi avvezzò a scrivere franco, e non mi fece pubblicare quelle scritture che a diciotto anni mi parevano belle, a ventidue me ne vergognavo.
      Allora io credevo il mondo una gabbia di matti, ed il matto ero io che non ci sapevo stare, non avevo garbo a viverci, e rimanevo in un silenzio salvatico: onde se togli pochissimi che mi volevano un po’ di bene, agli altri parevo piuttosto un asino. Eppure spesso in vita mia ho avuto gusto a parere un asino, ed ho riso di coloro che paiono di star sempre in iscena e declamare, parlano sempre e non hanno tempo a pensare, e se sanno qualcosa te la sciupano persino con le fantesche.
      Tra quelli che mi volevano bene era mia zia Carmela baronessa Sifanni, ed io ne volevo anche molto a lei, sì perché ella era una buona donna e mi parlava sempre di mio padre suo fratello, e perché faceva bei versi ed aveva un’anima gentile. Un giorno ella mi disse: “Se tu non vuoi far l’avvocato, e tu nol fare; ma una via l’hai a prendere per procacciarti uno stato: i tuoi studi sono belli e buoni, ma non fruttano.” A tribunali libera me, Domine.” “Ma che pensi di fare!


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Ricordanze della mia vita
Volume Primo
di Luigi Settembrini
pagine 271

   





Carmela Sifanni Domine