Dopo la cena che fu spanta, profusa, e condita di bravi brindisi in versi e in prosa, si passò in un’altra stanza dove era il presepe tutto splendente di ori, di argenti, e di ceri accesi che abbagliavano: era una ricchezza antica della famiglia che don Domenico aveva accresciuta, e la lasciava in anteparte al suo Ciccillo, il quale già se ne teneva padrone e lo mostrava a tutti come roba sua. Intanto essendo già vicina la mezzanotte, si disse da molte voci: “la processione, la processione” e ci toccò metterci in ordine. Innanzi andava una coppia di zampognari che sonavano come se volessero scoppiare; poi a due a due un cavaliere ed una dama coi torchi accesi in mano, ultimo Ciccillo con una cotta indosso portava in una vaga cestellina il bambino: a fianco a lui il cappellano rosso in viso come un peperone apriva una gran bocca ed intonava il Te Deum, a cui tutti rispondevano. Mentre in processione si scendeva le scale, si girava lentamente nel vasto cortile, e si usciva anche fuori la via, alcuni giovanotti sparavano fuochi d’artifizio, e da tutte le finestre vicine si cacciavano i lumi e si rispondeva al canto. Passata la mezzanotte, cominciava il giorno del Natale secondo i canoni, e si può dir messa: onde il prete si vestì dei paramenti e disse una messa nella cappella che era nella stessa stanza del presepe; ma il poveruomo avendo la lingua grossa e gli occhi piccini rappallottolava gli oremus, e donna Mariantonia con un frequente muovere di sopracciglia se ne mostrava scandalezzata.
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