Il bene, che a mio credere avanzava il male, era che l’insegnamento era liberissimo; la scienza non s’imparava dal professore ufficiale che insegnava come volevano i superiori, ma da maestri privati che in casa loro insegnavano come volevano: metodo, libri, sistema, ognuno aveva il suo, e i giovani correvano dai migliori e di maggior grido. Ma i più utili tra questi professori privati erano quelli che avevano pochi scolari, coi quali pigliavano dimestichezza e affezione, e però insegnavano liberamente e senza paura, e quasi in conversazione amichevole. Molti valenti uomini trascurati o mal visti dal governo fecero i professori privati, educando i giovani a nobili sensi: ed uno di essi diceva: “Mi perseguiti pure il governo, purché mi lasci insegnare, che io insegnando gli fo la maggiore guerra, formo voi altri giovani che un giorno sarete colti, onesti, generosi, e suoi nemici.” È vero che per insegnare ci voleva il permesso della polizia, ma zitto zitto se ne faceva anche senza per un otto o dieci giovani che non parevano. Questo libero insegnamento ci ha salvati dall’ultima servitù, dalla servitù del pensiero, ed ha favorito l’educazione dei grandi e liberi pensatori che noi avemmo in ogni tempo.
Tra i professori ce n’erano alcuni che avrebbero onorato ogni università di Europa, come Pasquale Galluppi che insegnava filosofia, e Nicola Nicolini diritto penale: c’erano Vincenzo Lanza principe de’ medici napoletani, Costantino Dimidri12 valente in anatomia e di mirabile eloquenza, Francesco Avellino dottissimo di molto sapere e giurista profondo; ed altri molti, ciascuno bravo nella sua scienza.
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