E così il Galluppi, ricercato bene se egli avesse qualche vecchio peccato politico e trovato netto, fu senz’altro nominato professore quand’egli non se l’aspettava né ci pensava più. Con che festa noi giovani e con quanta calca tutte le colte persone si andò a udire la sua prolusione, e poi le lezioni che egli appollaiato su la cattedra dettava con l’accento tagliente del suo dialetto! Ci sono sempre i maldicenti, i quali dicevano che egli era mezzo barbaro nel parlare; ma in quel parlare era una forza di verità nuove, ma l’ingegno era grande, e il cuore quanto l’ingegno. Che buon vecchio! quanto amava i giovani!
Un altro filosofo era in Napoli, e gagliardo forse più del Galluppi, che fu Ottavio Colecchi; ma perché propugnatore delle dottrine del Kant, perché di animo fiero e sdegnoso, e di libere opinioni, non ebbe mai uffizio, insegnò a pochi e non levò sì altro grido. In Italia non è conosciuto, perché dura la vecchia colpa di non curare i nostri: ma i suoi discepoli, fra i quali Bertrando Spaventa e Camillo Caracciolo marchese di Bella, farebbero opera buona a la scienza e a la patria a pubblicare tutti gli scritti di quel severo intelletto che disprezzava ogni cosa al mondo, e diceva di non pregiarne altro che due, la virtù ed il sapere.
Io udivo molti professori, tra gli altri il Dimidri che mi fece venire voglia di studiare medicina, ma non i cadaveri, né il puzzo del teatro anatomico, sì bene i modi fecciosi e bestiali dei giovani che li manipolavano mi disgustarono, ed avvicinai e presi ad amare il canonico Michele Bianchi professore di letteratura italiana.
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