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      Lo deridevano come purista e cruscante, ed egli sprezzò anche la beffa che pochi uomini sogliono sprezzare, si circondò di giovani che lo amarono assai, e fondò una scuola che ebbe gran nome e fece gran bene. Quelli stessi che prima lo sfatavano, cominciarono a vergognarsi del sozzo ed infranciosato scrivere, riconobbero la necessità di correggersi, accettarono una parte delle sue dottrine: ed egli profittando della costoro opposizione andò temperando il suo rigore. Così avviene di ogni dottrina che prima nasce direi quasi angolosa ed immaneggiabile; e poi a poco a poco va accodandosi a la necessità dei tempi. Ci è ancora chi lo chiama pedante: eppure la pedanteria è un santo rigorismo in mezzo alla licenza, ed ha un profondo significato nella storia del pensiero. Per me io credo ed affermo che la sua scuola in fatto di lingua ne seppe più che ogni altra in Italia, e che tra noi se vi fu e vi è gusto di buona lingua, tutti direttamente o indirettamente ne sono obbligati a lui. Rarissimo uomo, chi lo conobbe da vicino ne amerà sempre la memoria.
      Mi ricorda la prima volta che lo vidi. Senza raccomandazioni me gli presentai così a la buona, tirato da la fama della sua bontà e del suo sapere.
      Lo trovai fra una dozzina di giovani in una stanza dove non era altro arnese che libri negli scaffali, su le tavole, su le seggiole; ed in un canto v’era il suo letto dietro un paravento. “So che amate i giovani,” io gli dissi, “ed io desidero farmi amare da voi.” “Bravo, giovanotto; se vuoi studiare saremo amici.


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Ricordanze della mia vita
Volume Primo
di Luigi Settembrini
pagine 271

   





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