La maggior parte del danaro, degli ori, e degli argenti che così rapiscono la mandavano a qualche uffiziale di gendarmeria, a qualche generale ancora, e a qualche proprietario che può aiutarli, e molti piccoli proprietari sono diventati ricchi briganteggiando al coperto. Parecchi briganti raccontavano a me nell’ergastolo come e a chi davano, e come erano avvisati di ogni cosa, e trattati a dolciumi e a galanterie: e mi dicevano il quando, il dove, e certi nomi di persone che erano tenute per coppe d’oro. Uno mi diceva: “Io stava comodamente in casa del capitano, e dormivo in un buon letto, e il capitano coi suoi gendarmi andava camminando per trovarmi: io gli aveva dato duemila ducati”. Questa vecchia piaga delle Calabrie, che il governo borbonico faceva le viste di voler curare, e più l’inaspriva coi suoi gendarmi e coi suoi impiegati ladri e corrotti, non può esser risanata che a poco a poco, e dalla sola libertà che è risanatrice di tutti i mali. Quando le strade comunali, provinciali, e ferrovie metteranno i Calabresi in facili comunicazioni tra loro e con le altre genti d’Italia, allora si scioglierà quell’antica lotta chiusa in ogni paesello tra il proprietario sempre usuraio lì, e il proletario sempre debitore, si ammansirà quell’odio per oltraggi antichi che è la vera cagione del brigantaggio. Quando quelle genti avranno lavoro, istruzione e giustizia, quelle loro nature sì gagliarde nei delitti saranno gagliarde nel lavoro, nelle industrie, nelle arti, nella guerra santa e nazionale.
| |
Calabrie Calabresi Italia
|