Come io giunsi a Catanzaro trovai grandi preparativi per la festa dell’Immacolata che si fa 1’8 dicembre; e poi che ebbi letta la mia prolusione nel liceo, fui tosto invitato a fare da presidente a l’accademia che si doveva tenere in chiesa per quella festa. Non ci fu verso a scusarmi, Peppino mio fratello mi disse che se ne sarebbero offesi, dovetti pure leggere e scrivere un discorso sguaiato, e mi sorbii sino all’ultimo tutte le poesie che si recitarono: ce ne furono bonine, e ce ne furono da far spiritare anche il diavolo che sta sotto a la Immacolata.
Il liceo di Catanzaro era uno dei quattro del regno, nei quali oltre l’insegnamento letterario si dava il primo grado dell’insegnamento professionale, c’erano cattedre di diritto, di medicina, di chimica, d’agricoltura, e di matematiche sublimi, e ci si aveva la licenza: per la laurea poi si doveva venire all’Università.
Dopo il 1848 il Governo per non far raccogliere in Napoli molti giovani provinciali, messe in tutti i collegi l’insegnamento professionale, e li trasformò in licei, e li diede a governare ai padri gesuiti o agli scolopi, che mirabilmente impecorirono i giovani. Io mi messi ad insegnare con ardore e con amore a quei cari giovanetti, che essendo poco minori di me per l’età m’intendevano e mi amavano tanto. Poveri giovani! Ne ho riveduti parecchi nelle carceri e nelle galere con la catena al piede; e sono venuti a visitarmi nell’ergastolo. I frati non li fanno questi allievi.
Il rettore mi disse che gli alunni del liceo due volte l’anno solevano far un’accademia nel giorno del nome e nel giorno della nascita del Re, cioè recitare versi italiani, latini, e greci in lode di Sua maestà; e che tutti quei versi doveva farli io professore di retorica, perché gli alunni non sapevano, e gli altri professori non avevano questo debito.
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