La cagione palese di quest’odio fu che egli sposò una signora inglese, e fece al sangue dei Borboni una macchia che il re fratello non gli perdonò mai, mai non volle riconoscerne la moglie e i figliuoli, gli negò ogni avere, e lo ridusse ad andare povero e ramingo per l’Europa; ma la ragione segreta di sì pertinace odio fu quella contesa. Egli era noto per indole trista e brutte opere: di sua mano uccise un poveruomo che egli sorprese in luogo riservato alla caccia reale presso Castellammare: batteva e feriva chiunque ne provocava lo sdegno; pigliava danari in prestito e non pagava: ed un creditore che andò a domandargli il suo avere, egli lo fece sbranare mezzo dai suoi mastini, e colui indi a pochi giorni morì. Gli anni, la buona moglie, i figliuoli, il bisogno mitigarono quell’animo. Né solo costui, ma gli altri fratelli del re si macchiarono di laide colpe. Leopoldo conte di Siracusa, luogotenente in Sicilia, fu richiamato per libidini troppe anche in un principe. Poi fece lo scultore e il liberale, e molti liberali annacquati gli erano intorno, taluno per bisogno. Ma Antonio conte di Lecce superò tutti in bassezza e bestialità. Ritiratosi in un paese detto Giugliano, si accerchiò di bravi che per suo conto rapivano fanciulle e maritate, battevano e ferivano chiunque resisteva. Vestito da castaldo, andava pei mercati vicini, comperava e vendeva porci, buoi, cavalli, grano, granturco: spesso rissavasi coi villani, e dava e toccava pugna e nerbate: ingannava, frodava; truffava nei negozi, e se ne vantava come di astuzie.
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