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      Hanno guardato l’acqua e v’era una materia bianca gettatavi da colui.” “Sciocco! Quando lo vedi fuggire, tiragli una fucilata, e fallo cadere. Se m’accade a me, io gli tiro al volo.” “Per amor di Dio, no; voi uccidereste uno che ha più paura di voi.” Taluni che passavano per uomini di garbo ed a modo, dicevano: “Bisogna guardarsi, perché forse la peste c’è, ma c’è anche veleno, e in questi tempo sogliono più facilmente esservi avvelenamenti per vendette private, e non si scoprono.” Più difficilmente, amico mio, perché quando tutti corrono un gran pericolo ognuno pensa a salvare sé, e non insidiare altri.” Era fiato perduto: credevano che era veleno, e se dicevi no, ti credevano avvelenatore, e guai. Qualche uomo ragionevole c’era, ma in mezzo a tanti che erano agitati da una strana paura, stimava meglio tacere, anche per non dare sospetti. E così mi tacqui anch’io, e gli lasciai dire.
      Intanto in molte parti la paura diventò furore. In Siracusa, in Catania, in Cosenza, in Civita di Penne furono moti simultanei. Feroce in Siracusa dove il popolo venuto in un pazzo furore uccise tutta la famiglia di un giocoliere di cavalli credendo portasse veleno, uccise l’intendente che tentava d’impedire quell’eccidio, e dichiarò decaduto dal trono un re che avvelenava i suoi popoli: in Catania non fu versato sangue, ma rovesciato il governo. A sedare questo moto di Sicilia andò il ministro Del Carretto, il quale creò le solite commissioni militari, e queste si messero all’opera del condannare, e fecero fucilare oltre dugento siciliani.


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Ricordanze della mia vita
Volume Primo
di Luigi Settembrini
pagine 271

   





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