Il barone Sigismondo de Sanctis, ricevitore distrettuale, diede avviso ai congiurati che il governo conosceva ogni cosa e stava per arrestarli, onde essi vennero subito ad un fatto, disarmarono i gendarmi, gridarono costituzione, dichiararono Ferdinando decaduto dal trono, e da eleggere altro re, o Carlo principe di Capua, o Luciano Murat, o non so qual principe di Germania. La gente dei paesi vicini si armò, aspettò, dubitò tanto che quei di Penne vedendosi soli, e conosciuta la gravezza del fatto, impauriti fuggirono via, e quella gente armata venne allora a Penne per rimettere il governo. Ci venne ancora il comandante della provincia, un antico brigante a nome Gennaro Tanfano, il quale si diede un gran da fare, incarcerò quelli che non avevano fatto nulla e non erano fuggiti, ordinò una commissione militare. Il generale Lucchesi Palli spedito dal Re, quando vide che la commissione condannava a morte nove poveri artigiani e contadini, mentre i capi erano fuori, due volte per telegrafo segnalò la brutta condanna sperando grazia: non gli fu risposto, e quei nove morirono. Il Tanfano intanto taglieggiava i cittadini, e richiese al De Sanctis trecento ducati dalla cassa distrettuale: questi non intese che doveva darli del suo, e rispose che non poteva dargli danaro pubblico. “Ecco uno dei capi” , gridò il Tanfano, e lo fece arrestare e giudicare. Il De Sanctis per salvare la vita pagò dodicimila ducati ai suoi giudici, e fu dannato all’ergastolo perché capo, e la commissione lo dichiarò capo perché aveva avuto tanto potere sul popolo da fargli deporre le armi al giungere dei soldati.
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