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      Dopo alquanti giorni mi disse dover andare per sue faccende a Cosenza e poi a Napoli, e mi chiese lo raccomandassi a qualche persona. “Dàgli pure le lettere,” mi disse G[aetano] L[arussa], “e non dubitare della sua bruttezza”. Io gliene diedi una per Raffaele Anastasio, farmacista in Cosenza, ed una per Musolino in Napoli. Poi che il parroco fu partito sapemmo che egli aveva parlato più volte con l’intendente, e io cominciai a sospettare, e ricordare la sua aria, i suoi occhi, e certo suo smarrimento quando mi chiese le lettere. G[aetano] L[arussa] non poteva darsi pace: io scrissi subito all’Anastasio ed al Musolino che si guardassero, e stetti in guardia per me. Tutto questo avvenne perché io non sapevo bene l’arte del cospirare, fidavo troppo negli amici, e non ricordavo la prescrizione del catechismo, uno con uno e non più! Il reverendo parroco aveva rivelato ogni cosa all’intendente, che lo mandò al ministro in Napoli, perché egli aveva accusato me solo, temendo del prete che era paesano e poteva col tempo fare una vendetta calabrese. Non timore di Dio né fedeltà al principe, ma desiderio di farsi ricco e potente spinse quest’uomo, che vedendo come la grazia di Dio gli fruttava poco, volle la grazia del governo.
      La notte dell’8 maggio 1839 mentre io dormivo mi fu accerchiata la casa da gendarmi e poliziotti, i quali in nome della legge entrarono, messero sossopra carte libri masserizie, mi rubarono parecchie cose e fra le altre un paio di orecchini di mia moglie che parevano di diamanti.


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Ricordanze della mia vita
Volume Primo
di Luigi Settembrini
pagine 271

   





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