Rimasto solo, mi avvolsi nel mantello, e distesomi sovra uno dei poggiuoli, dopo breve pensare, vinto dalla stanchezza del viaggio, tornai ad addormentarmi.
Io non so perché, ma so che quando fortuna mi ha dato gli strazi più crudeli e mi ha proprio sprofondato nell’ultimo abisso del dolore, mi sono tornati a mente quei pochi momenti di felicità che ho avuto nella vita mia. In quel criminale e su quei sassi io sognai che tornavo a casa dopo un viaggio, e che il mio bimbo usato a riconoscere il mio scampanio gridava di dentro: “Papà, papà”, e mi correva incontro, e mi si attaccava con le braccia al collo, e mi dava quei baci che solo un padre sa quanto sono dolci, e mi pareva che con le braccia e coi piedi mi stringesse tanto l’omero ed il femore diritto, che io dicevo a la Gigia: “Toglimi questo fanciullo che mi fa proprio male”; ed ella non poteva spiccarlo, e quei più mi stringeva. Il rumore dei chiavacci della porta mi svegliò, entrò il custode, ed io levandomi con le ossa addolorate gli dissi: “Potrei avere un materasso?” “Materasso non c’è, farto sì.” “E che cosa è cotesto farto?” “Un sacco di capecchio, e si paga due grana il giorno.” “Bene, portatelo. Portatemi ancora una camicia, uno sciugamani, un fazzoletto che trarrete da la mia valigia.” “Non potete avere nulla senza ordine del commessario: il solo farto è permesso a chi lo paga.” “Potreste comprarmi da mangiare?” “Mi dispiace quando vedo un galantuomo soffrire: il vostro pranzo eccolo qui. Porco, da la zuppa al signore”. Questo “Porco” era uno de’ chiamatori che sono prigionieri addetti ai servigi del carcere, un omicciattolo tarchiato, col naso schiacciato, le sanne sporgenti e un vocione fragoroso, scalzo e sudicio.
| |
Papà Gigia Toglimi Potrei Materasso Potreste Porco
|