” “Io? eh! Raffaele Serio.” “Serio!” “Sono nipote a Luigi Serio, poeta che morì nel 1799 combattendo sul Ponte della Maddalena.” “Ma Luigi Serio morì coi due nipoti.” “Io ero terzo nipote, ed ora fo il carceriere!”. Sopraggiunse il Porco, il quale avendo udito le ultime parole del custode, fece un visaccio con cui volle dire che colui era un bugiardo. Io pensai: “Costui mi dice una bugia per ingraziarsi con me: e perché vuole ingraziarsi con me? per buon cuore, o per tradirmi? Forse per buon cuore, ma bisogna guardarsi dal carceriere”.
Erano diciassette giorni che in quell’antro io pativo freddo e fame, perché anche a mangiar tutta quella zuppa e quel pane, non si può sostentare un uomo: e la maggior pena per me era non potermi lavare altro che gli occhi e asciugarli col fazzoletto. Pure quel tempo mi giovò a farmi prendere l’aria del carcere, e saper molte cose, e pensare a rispondere. Dopo diciassette giorni scese il custode, e disse: “Venite dal commessario”. Fui condotto nell’estracarcere nelle stanze del custode maggiore, e quivi trovai il commessario inquisitore di stato cavalier Vincenzo Marchese, vecchio, guercio, lindo, tutto parole melate e cortesie; e con lui un cancelliere con la penna in mano e pronto a mettere su la carta quante parole mi dovevano uscire di bocca. Il commessario incominciò un fervorino, che egli era stato amico di mio padre, che gli doleva di vedermi in carcere, che fidassi in lui, gli dicessi ogni cosa; che gli erano errori giovanili scusabili, che forse altri mi aveva ingannato, che egli mi aiuterebbe, e tante altre dolcezze.
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