Pagina (119/271)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Avevo della cartaccia nella quale mi avevano portato del tabacco: ruppi una vecchia cannuccia di pipa, e fatto uno stecco l’aguzzai con la pietra focaia: con le dita e coi denti tolsi un po’ di legno dalla porta, lo bruciai su la lucerna, e fattone carbone lo sciolsi con un po’ d’acqua, ed ebbi l’inchiostro. Scrissi, e serbai la carta in tasca, e la penna cioè lo stecco nel farto. Il giorno appresso mi fu portata la biancheria netta mandatami da mia moglie, ed io dando la lorda a la presenza del custode, messi la carta in un calzetta. Mia moglie trovò la carta, ma non fece quello che io avevo scritto, perché il terzo giorno venne con l’ispettore del carcere.
      Oh, chi può ridire quello che io sentii a rivederla in quel luogo? Il mio bimbo come mi vide mi si gettò in collo, mi abbracciò stretto, e stato così un pezzo mi si addormentò nelle braccia. Era fatto più alto, e non aveva più i suoi lunghi capelli biondi. “E perché glieli hai mozzati?” “Pel viaggio, non potevo pettinarlo”. La Gigia mi narrò come dopo il mio arresto tutti avevano paura di avvicinarla, che soltanto la signorina Angiolina Marincola, sorella di Filippo mio caro discepolo, l’aveva visitata ogni giorno, l’aveva assistita, e date singolari pruove d’affetto; che la consigliavano di rimanere in Catanzaro dove io sarei tornato fra breve, ma ella non volle udire, ed era venuta sola, per una via lunga otto giornate, e col bambino che voleva starle sempre in braccio. “Credevo di morire per via, e lasciare questa creatura, ma Iddio mi ha voluta viva, e sono venuta per assisterti.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Ricordanze della mia vita
Volume Primo
di Luigi Settembrini
pagine 271

   





Gigia Angiolina Marincola Filippo Catanzaro Credevo Iddio