Ho venduto quello che non potevo portare, ma ti ho serbato i libri. Io sono in casa della mia famiglia. Ora che ci siamo bisogna sofferire con dignità. Sta dunque di animo sereno e forte, e fa ch’io possa gloriarmi di essere tua moglie”. Queste ultime parole mi colpirono profondamente: io non avevo inteso mai mia moglie parlare cosi. La sventura l’aveva trasformata, e svolgeva in lei un carattere forte e severo, ed amoroso insieme ed operoso. Queste parole mi sollevarono, mi fecero un bene grande, ed io cominciai a conoscere meglio quella donna, e rispettarla, ed amarla assai più di prima. L’ispettore che era presente al nostro discorso disse: “Signora, il commessario mi ha detto di guardarmi più da voi che da vostro marito, ma io vedo che siete una donna rispettabile”. E qui prese a parlare di sua moglie, e dei suoi figliuoli, e disse tante cose che io non intesi, perché guardavo ora il bambino che mi dormiva su le ginocchia, ora mia moglie che mi teneva la mano stretta. Questo ispettore signor Antonio Maza non era un tristo uomo: disse a mia moglie che poteva mandarmi il pranzo, ma badasse di non nascondervi carte; che ella poteva venire ogni venti giorni e parlarmi innanzi a lui; che l’altro giorno il commessario non aveva incaricato lui ma il sergente di gendarmeria (quello che era venuto a visitarmi) il quale forse aveva avuto altro a fare; e promise che mi avrebbe fatto salire in una stanza superiore più ariosa. Dopo un’ora dovemmo separarci: il bambino si svegliò, non voleva lasciarmi, e diceva: “Vieni tu pure con noi”. Io gli diedi un ultimo bacio, un altro a mia moglie, non potei dire altro che addio, e tornai nel criminale.
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Antonio Maza Vieni
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