” “Oh, no.” “E ti sei presentato?” “So che vuoi dirmi, i capponi si presentano a Natale; ma mi avevano arrestato mio fratello, da tre mesi non davano pace a mia moglie, volevano chiudere la farmacia e distruggermi. Che dovevo fare? Eccomi qua me. Soffrirò io, ma la mia famiglia non sarà molestata. Ed io di che son reo? mi accusa il prete, ma nessuna pruova oltre il suo detto”. Povero Raffaele! era la miglior pasta di uomo, ma furbo la sua parte, e non ci sarebbe capitato se io non gli avessi fatto il regalo del prete. Era il più vecchio tra noi, e aveva trentacinque anni. Gli demmo nome Zumra; ebbe subito il filo, il vocabolario e imparò la lingua. Questo, dolce dolce, era il rovescio di Pasquale.
Un altro giorno il custode Luigi Liguoro mi disse all’orecchio: “Vi saluta Giacomo Escalonne”. Io cascai dalle nuvole: “Dov’è questo matto?” “Qui in criminale.” Era costui figliuolo d’un vecchio uffiziale francese accasato in Catanzaro: il padre un galantuomo, il figliuolo un matto, un millantatore, un bugiardo che credeva alle sue bugie, e aveva per alcuni anni fatto il soldato in Francia. Dipoi seppi che quando io fui arrestato, questo Giacomo andò dicendo che egli in Francia era entrato in tutte le sette, massoneria, carboneria, diritti dell’uomo, eccetera, e nella giovine Italia ancora. L’intendente lo chiamò, gli fece promesse, gli diede danari, gli disse di scoprire, ed egli promise mari e monti: ma egli non sapeva nulla, e per fidarsi in lui bisognava essere pazzo quanto lui, e però contava all’intendente le più goffe invenzioni di suo capo: onde fu mandato in Napoli, e chiuso in carcere, dove la polizia lo ritenne come testimone a mio carico.
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